De profundis

Questo argomento contiene 1 risposta, ha 2 partecipanti, ed è stato aggiornato da  Meeme 7 anni fa.

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     Dajo 
    Partecipante

    Il servizio di posta recapita una missiva di carta spessa e gialla. La busta, che trattiene un vago odore di vino e cera d’api, è chiusa dallo stampo di Achille di Graveserto impresso sulla ceralacca: una mano con guanto d’arme nell’atto di afferrare l’aria.
    Le scritte sono tracciate fra una ridondanza di grazie, le lettere hanno forme tonde che si rifanno al gusto barocco italiano.
    Fra il blu profondo dell’inchiostro emergono a tratti delle opacità rugginose e un lontano sentore di sangue rappreso.

    A Grace Wallas, figlia di Robert Boyer,
    Presso la cantina della locanda “Barmil qedem”,
    Pieta, Malta

    A Lorenzo Sartori
    Villa de Vida, in via de le Motte
    Sant’Erasmo, Venezia

    Ad Alessandro di Sangro
    presso Goffredo Graziadei
    Palazo Salerno, piazza del Plebiscito
    Napoli

    Sorella, Fratelli,
    amici che, memore di un tempo non così remoto in cui ciascuno di noi è dipeso dalla lealtà e dalla competenza degli altri, oso chiamare Amati.
    La mia penna giunga a voi, non come capriccio di un ricordo più caro dello sterile presente, ma come naturale prosieguo di un sentimento che riecheggia attraverso i secoli.
    E se è vero che ogni cosa viva è mutevole e costantemente si rinnova nella sua essenza, è altrettanto vero che noi vivi non siamo; ciò che fummo siamo e saremo.
    Ho tentato con ogni mezzo di artigliare e fare miei questi tempi di febbrile crescita industriale: ho letto i più volgari e visionari dei romanzi stampati, e pertanto vogliate perdonarmi se ho lasciato che lo stile barbaro di un tale Jules Verne involgarisse ciò che sottopongo ai vostri occhi; ho appeso un dagherrotipo di me medesimo in luogo dell’usuale ritratto nella galleria araldica di Cereseto; infine oggi, grazie a voi, sperimento questa curiosa iniziativa propostami col nome di francobollo.
    Posso dire con una certa superbia che padroneggio gli strumenti moderni; questo tempo è mio, eppure non è il mio tempo.
    Condivido con voi queste riflessioni perché penso possiate intenderle. Potete intenderle voi, Alessandro, che ancora vi tenete stretti al corpo oggetti in disuso da secoli. Potete intenderle voi, Lorenzo, incapace di cogliere l’Arte in quelle rappresentazioni bidimensionali allo ioduro d’argento che pure portano all’Estasi i vostri Fratelli. Potete intenderle voi, Grace, che vi ostinate ad aggrapparvi ad un codice d’onore cui più nessuno dà peso.

    Mi chiedo se, oltre questo sentire, condividiate con me anche altre carenze dell’anima che, mi assicurano Fratelli più esperti di me, presto o tardi bussano alla psiche di tutti noi e si presentano come uno stato di profonda morte emozionale.
    Mi ricordo una notte senza stelle nella città di Milano in cui, Alessandro, vi avventaste su un servo dell’Inquisizione. Il suo sangue fu come vetriolo nelle vostre vene. Le vostre urla, che non riuscimmo a sedare nemmeno con i metodi più persuasivi della nostra schiatta, durarono tutta la notte e per poco non portarono al nostro rifugio i fedeli del Cardinale.
    Al tempo pensai lo aveste fatto per sete o per ignoranza, ma decenni più tardi mi si insinuò il dubbio che il vostro sia stato un premeditato gesto autodistruttivo, o magari esplorativo. Passarono altri decenni ed anche io sentii quell’impulso.
    A quel tempo gli uomini di Vera Fede erano ormai meno numerosi e non fu facile farne condurre uno al mio castello ma ne valse la pena. È vivido il ricordo di quel sangue che ribolliva nel mio petto come fuoco degl’inferi urlando secoli dei miei peccati.
    Doloroso.
    Emozionante.
    Quella notte mi sentii vivo. Ora il ricordo è sì vivido, ma privo di emozione.
    Memore di quell’ebrezza, pochi anni fa ebbi il capriccio di farmi incatenare sul tetto della più alta torre di Cereseto, in attesa dell’alba.
    Sentivo il panico montare da dentro e il dolore invadermi da fuori come una cascata d’olio bollente. Eppure non vi fu alcuna emozione.
    Vidi dall’esterno il mio corpo spezzare le catene, scavare ad artigliate le tegole e farsi strada fra le travi del tetto mentre la mia pelle si sfaldava in cenere secolare. Quando il mio corpo fu disteso sotto la mia lapide tombale, la mia bocca mi parlò con la voce della Bestia.
    Rideva e diceva che la mia vita non mi apparteneva, che l’avevo persa molto tempo addietro. Quella voce, che schiacciava ogni mia volontà promettendomi impotenza e dannazione eterna, non seppe destare in me né paura né stupore. Niente.
    Dicono, Grace, che il vostro Clan sappia come comunicare con la Bestia che portiamo dentro. Voi potete forse ritenervi meno schiava di quanto non sia io?
    Quando starete leggendo queste stesse parole, avrò subito una grave perdita.
    Il più fidato e capace dei miei servitori, Ettore d’Altavilla, ha perso la vita proprio nelle segrete del mio castello. L’aver prestato lustri di impeccabile servizio, l’amarmi incondizionatamente e l’essere la più preziosa delle mie risorse mortali non gli sono valsi una sola delle mie lacrime mentre l’ho mandato verso morte certa.
    Mentre pianificavo i dettagli della sua distruzione, privo di pentimento o sentimento alcuno, ho disperatamente cercato dentro di me la memoria del tempo in cui lealtà e fratellanza avevano per me un significato tangibile. Da qualche parte nel buco nero dove dimora l’anima, ho trovato voi.
    Vi racconto tutto ciò, Amati, perché capiate il contesto in cui vi scrivo e possiate leggere fra le righe ciò che il mio intelletto stanco non può ammettere apertamente.

    Ma vi è un motivo più pratico che mi spinge a scrivervi.
    Ai piedi delle Alpi, non lontano dal mio eremo di pace, qualcosa si sta muovendo.
    Il clima di fermento mi riporta alla memoria quello che fu preludio e teatro della nostra avventura comune, giusto tre secoli orsono: i servi di Dio si aggirano inquieti nel neonato Stato unitario, i mortali che non temono le arti occulte guardano con curiosità nella nostra direzione, i mannari si rintanano più in profondità nelle valli. Le Arpie di città, invece, come al solito, spargono con sicumera millanta dicerie che lascerebbero intendere tutto e nulla, per spiegare la scomparsa di diversi Cainiti nell’arco di pochi mesi.
    Alcuni Fratelli, più discreti e attendibili, riferiscono che ci siano degli attriti fra due fazioni all’interno dell’Inquisizione: la famigerata Società di Leopoldo e i Cavalieri di San Maurizio, un sodalizio simile ai seguaci di Leopoldo ma dall’attività più localizzata geograficamente e in qualche modo legato alla nobiltà sabauda.
    Non che ci muovano a curiosità le inutili diatribe fra questi mortali, il cui odio nei nostri confronti è più presto spento dalla loro vecchiaia che dai nostri sforzi. Più interessante sarebbe impadronirsi della loro conoscenza sui sopracitati eventi, che sembra essere meno superficiale della nostra.
    Se il vostro acume non si è sbiadito negli anni, starete cominciando a capire il fine ultimo della mia missiva e vi starete chiedendo come potrebbero interessarvi le cure di un paese così lontano dal vostro o in che modo voi possiate aiutarmi.
    Se nemmeno il mio istinto si è sbiadito, vi è un effettivo legame fra gli avvenimenti di oggi e quelli di trecento anni orsono. I supposti Cacciatori, se non completamente inetti, sapranno forse ricostruire le tracce di chi ha così duramente colpito i loro antenati. Forse un giorno o l’altro potrebbero arrivare a voi e voi potreste cogliere l’occasione per carpire qualche informazione.
    Immagino che possiate riuscirvi, spero davvero che lo facciate, perché temo che Ettore, per quanto sia un servo fidato, commetta degli errori nello spedire queste carte. Verrà scoperto, rintracciato, catturato e infine ucciso.
    Non mi tradirà, lo so, dirà solo ciò che voglio.
    Nessuno oltre voi potrà leggere queste righe, so anche questo in virtù del sangue di Caino e di un affascinante modo che ho escogitato per manipolarlo insieme all’inchiostro.
    Eppure i vostri indirizzi sono chiaramente visibili, insieme al latore di questa lettera qualcun altro potrebbe viaggiare fino a voi.
    Fate attenzione, potrebbero essere alla vostra porta in questo momento.

    Non me ne vogliate.
    Grace, avevate in ogni caso intenzione di salpare a breve.
    Lorenzo, non credevate davvero che il vostro Rifugio circondato dai Giovanni sia mai stato un buon posto dove passare le ore di luce. Credo con questo di avervi salvato da destini ben peggiori.
    Alessandro, non mi permetterei mai di compromettere un figlio di Malkav, ma devo informarvi che l’uomo in cui riponevate tanta fiducia ha più spesso bevuto del sangue altrui che del vostro ed era tempo che trovasse la giusta ricompensa. Diffidate di chi frequenta troppo l’Elysium.
    Vi porgo i miei più sinceri ringraziamenti e vi auguro un bene più profondo dell’effimera sicurezza di cui godevate.

    Achille Graveserto
    Giorno primo del mese di Aprile a.D.1884
    Castello di Cereseto,
    Monferrato, Regno d’Italia

    #5130
     Meeme 
    Partecipante

    A Achille Graveserto
    Castello di Cereseto,
    Monferrato, Regno d’Italia

    A Lorenzo Sartori
    Villa de Vida, in via de le Motte
    Sant’Erasmo, Venezia

    Ad Alessandro di Sangro
    presso Goffredo Graziadei
    Palazzo Salerno, piazza del Plebiscito
    Napoli

    Fratelli, alla luce delle preoccupanti notizie rivelateci dal rispettabile Alessandro di Sangro mi vedo costretta ad anticipare la mia partenza verso nuovi lidi.
    Il mare ha sempre esercitato in me un’attrazione difficile da ignorare e questo lo sanno anche i nostri nemici. Gli anni scorrono lenti ed inesorabili, ma non riusciamo a dimenticare o perdonare.
    Sapete che non amo le parole, non provo gioia nel mostrare su carta le mie debolezze e non riuscirò mai ad adattarmi a questa comunicazione così intima ed al tempo stesso così fredda.
    Preferisco urlarci in faccia parole di amore ed odio, afferrare la carne, divorare, conquistare, fare a pezzi chi minaccia i miei amici.

    Su carta posso solo disegnare il mio disappunto con la mia calligrafia imperfetta e sperare che la mia irritazione superi l’inchiostro per arrivare al nostro cuore morto.

    Se abbisognate di aiuto per organizzare la vostra fuga mi impossesserò di una nave e verrò a prendervi per portarvi al sicuro. Fatevi trovare in un porto sicuro tra quelli che vi indicherò e salperemo di nuovo verso l’ignoto. Non aspetto altro che lo scrociare impetuoso delle onde, l’odore salmastro del legno in acqua ed il vento sulle vele.

    Hierusalem est perdita!, ma noi non siamo ancora caduti.

    Grace Wallas,
    Giorno diciottesimo del mese di Aprile a.D.1884
    Presso la cantina della locanda “Barmil qedem”,
    Pieta, Malta

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