Riverdale

Riverdale è la molto libera reinterpretazione di una collana di fumetti (Archie Comics) usciti negli anni Quaranta, e abbandona lo stile leggero e scanzonato (almeno da quello che ho capito io, non ho letto i fumetti) del materiale originale per raccontare una prima stagione che è fondamentalmente un tentativo di creare una versione liceale di Twin Peaks. E devo dire che è un tentativo decisamente ben riuscito. Per quanto ci possano essere alcuni aspetti negativi, è innegabile che la serie sia piena di atmosfera, mostrando questa cittadina idilliaca e i suoi sordidi segreti nascosti sotto la superficie. Innanzitutto devo cantare le lodi della fotografia, indubbiamente di altissimo livello: siamo ai livelli di Mad Men come limpidezza dei colori e delle inquadrature e non posso che spendere parole di lode per Stephen Jackson e David Lanzemberg (responsabili della fotografia), per aver dato un taglio così particolare alla serie, e avere reso quasi ogni singola inquadratura un piacere per gli occhi.

La trama di Riverdale è piena di buone idee, e mette in scena un mistero che si va via via dipanando nel corso dei vari episodi, catturando quanto basta l’attenzione dello spettatore. Tuttavia le parti migliori della trama non sono nel filone principale, che fa il suo lavoro ma non è niente di straodinario (ad esempio, The Vampire Diaries o Pretty Little Liars hanno trame paragonabili): per contrasto brillano invece le trame secondarie e gli archi narrativi dei vari personaggi principali e secondari, che offrono un impietoso spaccato della società del luogo, dall’impresa di costruzioni di Fred Andrews, all’ascesa e conseguente caduta del quarterback Chuck Clayton. Queste piccole storie, che si risolvono in due-tre episodi, contribuiscono a creare un senso di vita cittadina, quando in realtà della città in sé non si vede quasi nulla, dato che l’intera serie utilizza un numero limitato di ambienti.

Qualche tempo fa ho scritto un articolo sugli elementi cupi (“Supereroi e pirati ‘Dark’“), e da questo punto di vista mi fa piacere vedere che non sono il solo a pensarlo. La serie fa tesoro di quello che scritto (e gli sceneggiatori lo avranno ovviamente letto, specialmente perché è stato pubblicato quando la serie stava già uscendo 😀 ) ed è piena di colori brillanti, tra i vestiti e le insegne, basta solo guardare la locandina per farsene un’idea. La trama, in netto contrasto, affronta temi di emarginazione sociale, di bullismo (maschile, femminile e sociale), di droga, di aborto, e chi più ne ha più ne metta. E questa dinamica di contrasto è una delle tensioni centrali che accompagnano tutti i personaggi di Riverdale, prigionieri del proprio ruolo sociale, e che devono presentare un’ipocrita facciata sorridente mentre di tanto in tanto emerge il loro vero volto.

E ora dopo tutta questa positività farò il critico pedante e parlerò un po’ dei problemi: sostanzialmente Riverdale ricalca molte delle dinamiche tipiche del genere. Attori principali e secondari ridicolmente quanto assurdamente bellissimi? Check! Pocci inutilmente complicati tra teenager con conseguenti psicodrammi e paturnie mentali a non finire? Check! Abbondanza di colpi di scena e citazioni di pop culture al solo scopo di tenere viva l’attenzione di teenager (maschi e femmine) ormonati? Check e Richeck!

E non dimentichiamo le attrici più bistrattate di Riverdale, ovvero le numerose magliette di K.J. Apa (che interpreta Archie, detto anche “Aaaaabs!” per gli amici), continuamente stropicciate e gettate in un angolo per far risaltare i pettorali del protagonista maschile, i quali finiscono per avere un cameo quasi ogni singola puntata 😀 Detto ciò, bisogna riconoscere che questi difetti in buona parte lavorano a favore dell’atmosfera dello show. Gli attori e attrici così belli (grandi, piccini, uomini e donne, ce n’è per tutti i gusti) si inseriscono bene nell’atmosfera di questa cittadina idilliaca, e contribuiscono a esaltarne gli elementi surreali. Similmente, buona parte delle pare e degli psicodrammi (con l’eccezione del primo episodio, che per fortuna non si ripete più) sono incentrati o intorno a problemi di vita vissuta (e per questo hanno un impatto notevole) o intorno all’omicidio che ha sconvolto la città (e quindi risultano in buona parte giustificati). L’occasionale colpo di scena è forse l’unico elemento che mi ha un po’ infastidito, perché è uno stacco netto rispetto a una narrazione che è, viceversa, sorprendentemente fluida e armoniosa. Probabilmente l’avevano pensato apposta, ma ho trovato che il contrasto in questo caso specifico non funzionasse bene.

Le citazioni di pop-culture, al contrario, sono inserite in modo eccellente, usate a scopo comico o drammatico a seconda delle circostanze: e considerando il pubblico a cui la serie si rivolge, sono citazioni sorprendentemente colte, da Orfeo e Euridice a Mad Men (il riferimento a Betty Draper mi ha fatto morire dal ridere!). E il resto della sceneggiatura è altrettanto forte, presentando personaggi ben costruiti e prendendosi il tempo per la necessaria introspezione psicologica. Ho evitato fino a questo punto di parlare degli attori, e la ragione è che non sono eccezionali: la maggior parte di loro sono caratteristi, a proprio agio nel loro ruolo e affiatati tra di loro ma nulla di più. Due eccezioni sono la protagonista femminile (Betty Cooper, interpretata da Lily Reinhart) e l’amico suturno e asociale (Jughead Jones, interpretato da Cole Sprouse), che invece coprono diversi ruoli emotivi e lo fanno in modo non eccezionale ma sicuramente professionale.

In conclusione, Riverdale è una serie di genere mirata a un pubblico adolescenziale che, a mio parere, riesce a trascendere il genere e diventare qualcosa di più complesso, affrontando insieme agli psicodrammi adolescenziali anche temi più maturi in modo responsabile e approfondito. La raccomando nella sua interezza, e non fatevi scoraggiare dal primo episodio, che è un po’ lento.

Voto: 8.5

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