Nel lontano 2009 usciva The Good Wife, una serie di avvocati incentrata sulla moglie di un procuratore distrettuale costretto a dimettersi per via di uno scandalo sessuale. La serie è andata avanti più o meno bene per cinque stagioni, poi si è trascinata per altre tre prima di venire giustamente cancellata, dopo che gli ascolti erano in calo continuo. Tuttavia The Good Wife è stata molto a lungo il fiore all’occhiello della CBS, combinando un’intelligente schema di personaggi con un’analisi accurata e impietosa della società americana. Non mi soffermerò a lungo sulla serie in sé, basti solo dire che hanno accumulato nel corso delle varie stagioni oltre centocinquanta nomination, un Golden Globe, tre Emmy Awards e una ventina di altri premi. Tuttavia non era una serie priva di problemi, tra cui cito l’eccessivo protagonismo dell’attrice principale (Julianna Margulies), che in scena aveva sempre troppo spazio.

Insomma, si vedeva, specie nelle ultime stagioni, che i creatori/sceneggiatori (tra cui c’è anche Ridley Scott, regista di Blade Runner) non erano soddisfatti con l’andamento della serie e costretti a irrigidirsi su trame già viste. Da questa insoddisfazione nasce The Good Fight, uno spin-off della serie che intende per molti versi ripartire da zero, mantenendo alcuni personaggi ma cambiando il contesto. E da questo punto di vista la fine dell’era Obama e l’elezione di Trump ha fatto agli sceneggiatori un enorme favore, dato che ha presentato loro un’ottima opportunità per ripartire da zero. La serie abbandona completamente la precedente protagonista (Alicia Florrick) e relativa famiglia per concentrarsi invece su Diane Lockhart (interpretata da Christine Baranski), la simpaticissima e aristocratica avvocatessa avanti negli anni già presente nella serie originale, e su Maia Rindell (interpretata da Rose Leslie, la Nordling che si fa Jon Snow nel Trono di Spade), personaggio nuovo di un’avvocatessa alle prime armi la cui famiglia viene travolta da uno scandalo. Il resto dei personaggi gira intorno al nuovo studio di avvocati, una delle poche imprese afroamericane a Chicago, e ogni episodio c’è un caso diverso mentre vengono esplorati i rapporti interni e l’evolversi dello scandalo intorno alla famiglia di Maia (per quanto, comunque, le protagoniste rimangano sempre le due donne).

La serie è eccellente, abbandonando gli aspetti negativi di The Good Wife, e concentrandosi sull’impietosa e approfondita analisi della società americana contemporanea attraverso il filtro di questa impresa afroamericana di avvocati. E si tratta di un’analisi competente, professionale, ed estremamente divertente: la serie abbraccia la completa assurdità di molte situazioni legali strappando la risata al momento opportuno. Lo trovo un ottimo esempio di come si possa mettere in piedi una serie in relativa economia (hanno pagato due lire agli attori e nulla più) e creare una prima stagione estremamente coinvolgente. Preciso, dato che è quasi impossibile non notarlo, che la serie è politicamente schierata, con forti toni liberali che vanno dai messaggi anti-Trump ai temi pro-omosessuali (Maia, ad esempio, è in una relazione stabile con un’altra donna). Tuttavia ho letto recensioni di sostenitori di Trump che hanno comunque dato 7/10 alla serie, il che è tutto dire. Questo è dovuto, secondo me, alla precisione dell’analisi della società, che giustifica il tono radicale dei temi trattati e le prese di posizione di certi personaggi.

Questa prima stagione è senza dubbio la migliore serie di avvocati che io abbia mai visto, superiore a The Good Wife e nettamente superiore a Suits. La raccomando vivamente, sia come prodotto di intrattenimento che come quadro della contemporaneità americana, correte a vederla se potete, e non vedo l’ora che esca la prossima stagione (e mi toccherà aspettare un anno, un intero anno, nuoooooooooo!!!!! 😀 ).

Voto: 9

0 commenti

Lascia una risposta

© Le Torri di Frontiera 2024. View Changelog v3.0.9

Log in con le tue credenziali

o    

Hai dimenticato i tuoi dettagli?

Create Account