Sherlock

Sherlock, la serie prodotta dalla BBC nel 2010, è l’ennesimo adattamento delle avventure del celebre detective creato alla fine dell’Ottocento da Arthur Conan Doyle. I racconti (e i quattro romanzi) sono stati adattati più e più volte, sia per la televisione che per il cinema. Ho adorato Sherlock Holmes quando ero giovane (ho letto racconti e romanzi quando avevo 11-12 anni), ma occorre innanzitutto riconoscere che le opere di Doyle non offrono tutta questa varietà di materiale: lui fu tra i primi a perfezionare una formula di successo (con “Uno Studio in Rosso” e “Il Segno dei Quattro”, ovvero i primi due romanzi, che per me sono anche i più belli) che utilizzò per quasi tutti i racconti e per gli ultimi due romanzi (“Il Mastino dei Baskerville” e “La Valle della Paura”). Detto questo, arrivano fin dove arrivano, sono la quint’essenza della letteratura di evasione: i personaggi sono piatti e le trame tendono a ripetersi. Per questa ragione, gli adattamenti di maggiore qualità sono quelli che non si fanno problemi a cambiare le carte in tavola, tenendo l’ossatura dei personaggi ma giocando liberamente con gli altri elementi. Personalmente raccomando sia Young Sherlock Holmes (uscito in Italia come Piramide di Paura) che The Seven-Percent Solution (Soluzione al 7%) come buoni adattamenti con trame strampalate ma che al tempo stesso omaggiano il materiale originale.

Dopo questa lunga premessa, veniamo alla serie: dal primo episodio è abbastanza chiaro cosa vogliono fare, ovvero mettere in scena Sherlock Holmes nella Londra contemporanea con episodi lunghi di un’ora e mezza. I primi due episodi sono un eccellente inizio della serie, il primo dove vengono presentati i vari personaggi, fedeli all’originale quanto basta per riconoscerli ma con una certa libertà. E c’è un cast eccellente: Benedict Cumberbatch eccelle nel ruolo del personaggio principale, così come Martin Freeman (Watson). Anche i comprimari sono piuttosto bravi: Louise Brealey (che interpreta Molly Hooper, la coroner) e Mark Gatiss (che interpreta il fratello di Sherlock, Mycroft) sono entrambi molto simpatici e interamente calati nella parte. Anche le trame sono piene di buone idee: il primo episodio è un classico ma comunque interessante serial killer con un buffo e brillante riadattamento del primo romanzo (l’episodio si intitola “A Study in Pink”), il secondo una storia della mafia cinese e un riadattamento de La Valle della Paura, l’ultimo romanzo (dove i cattivi invece della mafia cinese sono i massoni).

Da un punto di vista narrativo, la serie è in netto contrasto con il materiale originale, favorendo una narrazione svelta e brillante, a volte insensata ma che riesce a ridersi dietro, abbracciando l’assurdo di certe situazioni (gli sms a tutti i giornalisti, per esempio) ma dandosi il tempo di approfondire i personaggi e l’ambiente circostante in modo adeguato, dando comunque un’impressione di realismo. Il terzo episodio, che conclude la prima stagione, introduce un megacattivone (se conoscete i romanzi sapete di chi si tratta, non ne dico il nome per non spoilerarlo) e… ed è qui che cominciano i problemi 😀 . Preciso, il terzo episodio non è brutto, anzi, è un tentativo di introdurre qualcosa di diverso (una serie di attacchi terroristici) rispetto ai primi episodi che erano solo riadattamenti dei romanzi. Insomma, sapevano che presto i riadattamenti dei romanzi/racconti originali sarebbero ricaduti in quel ciclo di ripetitività di cui sopra, e volevano introdurre qualcosa di diverso in modo da poter fare anche delle storie originali. E tutto sommato direi che è un tentativo abbastanza ben riuscito, l’episodio è pieno di tensione e ha una conclusione sospesa ma dopotutto soddisfacente. Il problema è quello che è venuto dopo: i primi tre episodi ebbero un successo straordinario (e meritato), e mentre i fan chiedevano insistentemente una seconda stagione, gli attori andarono a fare altre cose (Lo Hobbit, Star Trek Into Darkness, ecc), così come gli sceneggiatori (Mark Gatiss e Steven Moffat, che andarono a fare Dr. Who).

Le stagioni successive hanno avuto i loro alti e bassi ma non sono neanche lontanamente all’altezza di quei primi tre episodi: forse hanno esaurito le idee, forse pensavano che gli attori da soli sarebbero stati capaci di mantenere gli ascolti (cosa che probabilmente è accaduta), fatto sta che le stagioni seguenti sono nettamente inferiori alla prima. Il protagonista è diventato sempre di più un supereroe, con il suo sidekick (Robin Watson), il suo commissario Gordon (ehm, volevo dire Lestrade), la sua divisa da supereroe e i suoi cattivoni da combattere. Cosa che non solo non ha molto a che fare con i personaggi originali (che invece celebravano la capacità deduttiva e la presenza di spirito più che l’essere dei superuomini dalla memoria perfetta e dall’intelligenza sovrumana) ma aliena anche l’ambientazione della Londra odierna (che invece la prima stagione aveva approfondito e con molto successo). Insomma, la serie ha perso quasi tutta la sua unicità, rinunciando a sviluppare i personaggi secondari (come Molly e Lestrade, che continuano a esserci ma hanno solo un ruolo comico) e trascurando anche quelli principali: dove sono finite la sindrome da stress post-traumatico di Watson e la sociopatia di Sherlock? Erano elementi di debolezza dei protagonisti (cosa che li rendeva identificabili e quindi interessanti) e dopo la prima stagione sono a mala pena nominate. Inoltre, e so benissimo che è un particolare secondario: non che la prima stagione fosse questo miracolo di inclusione e tolleranza, ma almeno il cast era etnicamente variegato; le stagioni seguenti sono una festa di bianco che fa invidia a una fila di lenzuola appese al sole. Non sarei così sensibile alla cosa se non avessi vissuto a Londra per anni: è una città con tutte le etnie del mondo, rappresentarla “in bianco” per così dire è non solo irrealistico ma è anche offensivo. Il livello di recitazione resta buono ma soffre per la mancanza di una sceneggiatura competente, per cui i personaggi non hanno molto da dire e finiscono per appiattirsi, dato che non vengono mai sviluppati. Per me la quarta stagione è stata l’ultima goccia, non l’ho vista tutta, né credo che la finirò in futuro.

In sostanza, peccato per quello che era un inizio eccezionale ed è scaduto nella più becera e deludente mediocrità. In un certo senso è quello che è successo ai racconti/romanzi originali, che una volta perfezionata la formula si sono arenati in un ripetitivo mare di banalità. Raccomando la prima stagione insieme ai film che ho detto all’inizio, sono gli adattamenti migliori del celebre detective. Evitate le stagioni seguenti e vi eviterete una profonda e inestinguibile delusione 😀

Voto:
Sherlock, Stagione 1: 8.5
Sherlock, Stagione 2 e 3: 5
Sherlock, Speciale natalizio: 6- (è una storia autoconclusiva completamente folle ma tutto sommato non sgradevole)
Sherlock, Stagione 4: 4 (i primi due episodi, il terzo non l’ho visto)

4 commenti
  1. Dajo 7 anni fa

    Nell’ultima puntata della quarta stagione le cose peggiorano. Ti dico solo che il cattivo di turno ha un’abilità uguale a quella che in una serie Marvel è considerata un superpotere.
    Per il resto anche io ho patito molto questa trasformazione di Sherlock da investigatore privato ad agente dello SHIELD e il suo allontanamento da Londra come ambientazione, moltoben caratterizzata all’inizio.
    Tuttavia a mio avviso la seconda stagione regge bene quanto la prima e come fan del canone di Doyle ho molto apprezzato lo speciale de L’abominevole sposa.

    A proposito… non è questo il posto per fare un’analisi dell’opera di Doyle.
    Certo però che hai etichettato e liquidato piuttosto velocemente un corpus che ha segnato profondamente non solo la letteratura degli ultimi 130 anni, ma lo stesso immaginario occidentale di genere. 😀

  2. Autore
    Ilmarien 7 anni fa

    Grazie della segnalazione Dajo, e complimenti per avere avuto il coraggio di continuare 😀
    Per quanto riguarda la seconda stagione: il primo episodio è anche carino, ma è all’insegna del fanservice più becero, ovvero come direbbe Deadpool: “Boobies!”. Il film con Robert Downey Junior, pur essendo molto brutto, ha una Irine Adler con maggiore spessore del personaggio che c’è in Sherlock, che è piattucolo, nonché nettamente meno intelligente di lui (contrariamente al personaggio dei romanzi). Soluzione al 7% ha una fantastica Irine Adler, per esempio. L’episodio del mastino dei Baskerville l’ho francamente trovato noioso: anche qui, rispetto alla prima stagione l’adattamento del romanzo non è particolarmente ispirato. Tanto per chiarire, il romanzo è forse il migliore dei quattro, perché c’è tantissima atmosfera, in questa strana e surreale palude: nello show questo viene ridotto a droga ballerina e clinica medica con esperimenti preso da un film dell’orrore di serie K. Non posso fare a meno di essere deluso, specialmente al confronto con il brillante adattamento di Uno Studio in Rosso nella prima stagione. Infine, per l’ultimo episodio ho quattro parole: “Why so sserious, Sherlock?” 😀 Seriamente, ci mancava solo la cicatrice sulla guancia di Moriarty, Lestrade che parlava di eroi, e la colonna sonora di Hans Zimmer. La ragione per cui mi ha fatto arrabbiare è che Moriarty non è il Joker, non è pazzo e non lo è mai stato, ed è qualcosa che non ha niente a che fare con l’ambientazione stessa. Forse nella seconda stagione i problemi non sono troppi, ma ci sono già e non fanno che peggiorare in corso d’opera. Insomma, la seconda stagione è dove le cose cominciano a… precipitare (l’avete capita? Precipitare, per via di Reichenbach Falls… Ok, la smetto 😀 )

    Per quanto riguarda i racconti/romanzi: a me piacciono, sono in tutto e per tutto un fan di Doyle. Ma ne riconosco i limiti, non sono capolavori, alcuni racconti sono anche scritti maluccio (quello della criniera del Leone, per esempio). E non sono d’accordo con il discorso sull’influenza che hanno avuto: l’influenza sulla letteratura è quasi inesistente, perché la formula non l’ha inventata lui ma l’ha copiata (La Lettera rubata, o I Delitti della Rue Morgue di Edgar Allan Poe, per esempio), è semplicemente stato il primo ad applicarla su quella scala e come, appunto, letteratura d’evasione. In conclusione, come racconti/romanzi sono lo specchio di un’epoca, e una fonte di ispirazione per il genere poliziesco, ma questo è quanto: non credo, per esempio, che il corpus abbia “segnato la letteratura”, credo piuttosto che abbia segnato l’immaginario popolare. Il paragone più immediato che mi viene in mente è Pinocchio, il romanzo di Collodi e il cartone della Disney. Il romanzo è uno dei grandi capolavori della letteratura ottocentesca, il cartone una misera, pallida e zuccherosa copia che però resta di più nell’immaginario mondiale (ad esempio, When you wish upon a star).

    Detto questo, scusatemi per lo sproloquio, spero di avere chiarito la mia posizione, e grazie Dajo per i commenti!

  3. Dajo 7 anni fa

    A me questa Adler e questo mastino dei Baskerville sono piaciuti.
    De gustibus.

    Per i racconti invece, intuisco da quel che scrivi che tu faccia una distinzione fra Letteratura e letteratura.
    Io non sono così colto da farlo.
    Ma se, cent’anni dopo Doyle, autori del calibro di Neil Gaiman, Stephen King, Ellery Queen etc… continuano a usare un certo personaggio, allora affermo con sicurezza che quel personaggio ha segnato la letteratura. =)
    Detto questo, concordo che abbia i suoi limiti e difetti.

    Tra l’altro, giusto per non fare un intervento sterile, segnalo un film che a me è piaciuto molto, pur allontanandosi dal classico poliziesco:
    Mr.Holmes, con Ian Mc.Kellen nei panni dell’investigatore ormai ritirato dalle scene del crimine.

  4. Autore
    Ilmarien 7 anni fa

    Si, è vero, mi ero dimenticato del film con Ian McKellen, che è piaciuto moltissimo anche a me. Non è certamente un classico poliziesco, è un film introspettivo, ma l’ho trovato veramente bello, e Ian McKellen è eccezionale nel ruolo del protagonista.

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