*Vocione potente* In un’America dominata da un’ideologia neofascista di stampo ultra-religioso, le donne sono state private dei loro diritti fondamentali e i bambini vengono strappati dal grembo delle loro madri *voce normale* si, è un trailer, non la realtà, sapete com’è, a volte si sovrappongono 😀

Andiamo con ordine: The Handmaid’s Tale è l’adattamento dell’omonimo romanzo del 1985 di Margaret Atwood (secondo adattamento, per essere precisi, nel 1990 è uscito un film dallo stesso titolo, con Natasha Richardson e Faye Dunaway) e narra della protagonista June Osborn (aka Offred, magistralmente interpretata da Elisabeth Moss) e della sua vita come damigella (o ancella, la handmaid del titolo) di Fred Waterford (interpretato da Joseph Fiennes) in un futuro distopico in cui gli Stati Uniti sono diventati una teocrazia autocratica e le donne sono schiave (e trattate come tali) di pochi privilegiati.

Lo show, dati i tempi che corrono, ha avuto un successo strepitoso, e data tutta la grancassa mediatica, le recensioni orgasmicamente positive e i numerosi premi (40 premi, tra cui 2 Golden Globe nel 2017, come migliore serie tv e a Elisabeth Moss come migliore attrice protagonista), avevo molte aspettative al riguardo. E devo dire che sono rimasto un po’ deluso: senza dubbio, come vedrete, ci sono molti elementi positivi, ma ho avuto l’impressione che la serie, in generale, sia stata sopravvalutata (ovvero, è senz’altro una buona serie, ma non la definirei certo un capolavoro). Innanzitutto devo obbligatoriamente tessere le più sperticate lodi della recitazione: è di altissimo livello, senza eccezioni, senza sbavature. Ho già parlato dell’eccezionale protagonista (la quale, oltre a meritarsi abbondantemente il Golden Globe, ha avuto una brillantissima carriera, da Mad Men a Top of the Lake), ma anche il cast secondario è eccellente, da Ivonne Strahovski (che interpreta Serena Waterford) a Ann Dowd (che interpreta la contorta e sadica Aunt Lydia). Anche la fotografia e la ricostruzione sono ottime: l’immagine è lievemente desaturata, ma una volta tanto (per maggiori informazioni su questa inutile frecciatina vedi la recensione di King Arthur: Legend of The Sword o l’articolo “Supereroi e pirati ‘dark'”, sempre del sottoscritto, qui sul sito) gioca a favore dell’immersione perché serve a far risaltare il rosso vivo dei mantelli del costume delle ancelle.

La trama e il montaggio invece non sono così eccezionali: l’atmosfera è, come si può intuire dalla premessa, cupa ma ho notato un fastidioso compiacimento nel modo in cui è presentata. Intendiamoci, la serie è pensata per un pubblico adulto, sia per le tematiche che per lo spettacolo visivo, pieno di sesso e violenza. Il problema è che i suddetti sono mostrati in modo eccessivo e solo allo scopo di fare impressione al pubblico, e finiscono così per essere gratuiti, non adeguatamente inseriti nella trama. Questo in contrasto con il romanzo (che peraltro raccomando vivamente), in cui invece c’è un delicato equilibrio tra momenti di orrore e momenti cupi in cui la violenza è più sottile, e molto spesso non fisica ma psicologica (in cui, ad esempio, la protagonista viene indottrinata a pensare come una schiava). E intendiamoci, la serie presenta le tematiche del libro e, con esse, anche la questione dell’indottrinamento psicologico, ma c’è anche l’idea di mostrare la violenza semplicemente per il puro valore di shock. Non un problema grave (e nella storia della televisione c’è sicuramente stato di peggio), ma certamente fastidioso, almeno per me, dato che danneggia l’immersione e cancella, o intorbida, le sfumature che al contrario rendevano grande il libro. Insomma, per dirla in altre parole, la serie ti martella il concetto in testa con un maglio a due mani, quando un piccolo scalpello sarebbe stato altrettanto efficace e più preciso nel comunicare quel tipo di messaggio.

Per quanto riguarda la trama, premetto che non ho finito la prima stagione, proprio perché non riusciva a prendermi. La narrazione segue abbastanza da vicino il racconto del libro, e forse proprio per questo risulta poco sincera, riciclata in altre parole. Non è una brutta trama, e si vede che ci sono delle ottime idee dietro, come del resto ha il libro, è però realizzata in modo banale, direi quasi mediocre. Avrebbero forse dovuto allontanarsi dalla narrazione degli eventi del libro pur mantenendone lo spirito (come fanno del resto la recitazione, la ricostruzione e la fotografia) e rendere la trama più coinvolgente. In un certo senso, è un buon esempio di come ‘seguire passo passo il libro’ non sia sempre l’idea migliore: sono mezzi di comunicazione molto diversi, e passare dall’uno all’altra vuol dire, a volte, fare cambiamenti sostanziali.

In conclusione, raccomando comunque la visione della serie: nonostante le sue per me evidenti pecche resta un prodotto di qualità. Raccomando ancora di più il libro di Margaret Atwood, tra i due è il vero capolavoro. Detto ciò, raccomando vivamente che facciate l’una o l’altra cosa, e questo per l’incredibile successo che ha avuto la serie. E questo non è un discorso relativo alla serie stessa, ma invece riguarda ciò che The Handmaid’s Tale ha rappresentato in tutto il mondo. In poco più di un anno dall’uscita della serie, il costume iconico delle ancelle (il mantello rosso e il copricapo bianco che nasconde il volto) è diventato, in un brillante quanto sovversivo stravolgimento di prospettiva, un universale simbolo di protesta per i movimenti femministi in giro per il mondo, dagli Stati Uniti, all’Irlanda, all’Argentina (https://www.theguardian.com/world/2018/aug/03/how-the-handmaids-tale-dressed-protests-across-the-world). La fortuna del simbolo è dovuta principalmente alla grande forza del messaggio visivo: è (come il vestito da suffragetta all’epoca) estremamente appariscente ma senza rischiare violenze o arresti per pubblico scandalo, va dritto al punto facendo la domanda: “Volete vivere in una società di schiavi?”

Voto: 7+

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